«Si guardò attorno come se vedesse per la prima volta il mondo».
La porta automatica si è richiusa alle mie spalle con un sibilo. Già dopo il primo passo nel grande atrio ho rimpianto il freddo vento che mi aveva stravolto i capelli e screpolato le labbra fino a farmele sanguinare.
Avevo percorso il lungo, brullo, viale alberato, quasi di corsa, temendo di fare tardi, la manina di Filippo stretta nella mia, l’unica parte del corpo avvolta dal caldo.
Mi sono guardata attorno come se vedessi per la prima volta il mondo.
La luce dei neon rendeva l’ambiente gelido, molto più di quello rimasto fuori, il caldo era soffocante, nauseante l’odore di alcool e disinfettante.
L’inquietudine in cui ogni respiro della mia vita è da sempre avvolto, in quell’attimo svanì.
Qualche momento per riprendere il fiato e poi ho risposto alla domanda che mio figlio continuava a farmi con voce incalzante e con lo sguardo impaurito:
– dove siamo mamma, dai rispondi
– Fili leggi sulla porta, Lungodegenza – post acuzie donne.
Null’altro in quel momento gli ho spiegato, null’altro in quel momento avrei potuto dire.
Il vissuto rende potenti.
I visi persi nell’agonia crudele del tempo passato, la disperata ricerca di decenza in corpi che la rifiutavano, gli occhi di menti ancora vigili e coscienti costretti in carne ormai disfatta, malata, finita.
Ma poi ho visto il mondo per la prima volta, ancora, nuovamente, l’ho trovato nello sguardo di mia nonna, nella felicità di vederci, nella dolcezza con cui ci ha accarezzato il viso e le mani, nella semplicità delle sue parole.
“Francesca porta fuori da questo posto il piccino, il mondo qui dentro non ha più un senso, la vita scorre fuori, non perdetene mai neppure un attimo.”
Mia nonna è da sempre stata il mio maestro di vita.
Francesca